[…non ci credo nemmeno io: è finita la saga. Forse anche perchè questo è periodo di sagre ed una saga contro una sagra non può competere. A questo punto mi metto a disposizione per chi volesse elargirmi del denaro in modo che io possa continuare a fare delle avventure allo scopo di raccontarle. Sto usando questo blog manco fosse Linkedin. Mi metto in castigo. Buona lettura.
AH IMPORTANTE!!! Se hai perso le puntate precedenti: I parte qui, II parte qui, III parte qui, IV parte qui ]
Facciamo sosta in un piccolo hotel/ristorante. Ci sediamo ai tavolini fuori perché ci è stato detto che, non appena arriva il pullman, partiamo per Kathmandu.
A regola, per quanto ne sapevamo noi, il pullman doveva già essere lì ad attenderci. Ma vabbè: non c’è e lo aspetteremo.
Ammazziamo il tempo bevendo un tè, mangiando del mango e degli anacardi, giocando con una bambina, la figlia dei proprietari, che dopo un’ora inizia anche a…eh dai, su, vai a giocare un pochino con l’amico immaginario dai!
Passa il tempo. Siamo fermi da due ore e ad ogni domanda “ma questo pullman dov’è?”, la risposta è sempre “sta arrivando”.
Grazie al cazzo.
Dopo un po’ di pressing viene una prima parte di ammissione: il pullman è partito da Kathmandu più o meno quando noi siamo partiti con le jeep, quindi ormai dovrebbe essere questione di minuti.
Tutto ciò mi fa compiere dei calcoli in modo spontaneo.
Noi siamo partiti più o meno alle 10. Ora sono passate le 18. Mmm…
“Ma scusa, Kathmandu non hai detto che si trova a 7 ore da qui?”
“Si circa. Ma ha sbagliato strada”
Ah pure!
L’attesa diventa lunga ed iniziano i primi segni di impazienza.
Decidiamo che è meglio cenare perché poi, all’arrivo del pullman, caricheremo tutti i bagagli e le bici e si partirà.
Come al solito con quelle decisioni prese d’istinto in cui non si pensa alla situazione reale.
Che poi si verificherà, of course.
L’autista arriva quando sono più o meno le 20. Tra una cosa e l’altra siamo pronti per partire un’ora dopo.
Sul pullman ci sono giusto i posti di quanti siamo. Anzi a dire il vero c’è un posto in meno, visto che un ragazzo nepalese si piazza sul gradino che separa i sedili dall’autista e trova la sua posizione. A guardarlo risulta anche apparentemente comodo.
Il nepalese più alto credo sia 1,73 di conseguenza le compagnie che producono pullman non vedo perché dovrebbero creare chissà quanto spazio tra un sedile e l’altro.
Alle 21 circa mi piazzo le ginocchia in gola e si parte.
Uso una felpa appallottolata per farmi una specie di cuscino e mi accorgo di una cosa: siamo in un piccolo spazio al chiuso, tutti insieme, dopo 13 giorni.
Puzziamo in modo incredibile. Ma mica poco eh. Una scoreggia potrebbe migliorare l’aria che si respira.
Inizia il neverending viaggio. Che principia subito male: dopo appena 10 minuti dalla partenza, uno del nostro staff cucina da campo si accorge di aver dimenticato il telefono al ristorante.
L’autista compie una manovra che se fatta davanti ad un poliziotto c’è l’ergastolo, oltre al ritiro della patente e dei familiari, e torna indietro.
Dobbiamo ancora partire ed abbiamo già perso mezz’ora.
Nonostante totalmente privo di qualsiasi droga, riesco a trovare una posizione in cui il sangue riesce a scorrere regolarmente e, sarà il buio, sarà la stanchezza, mi addormento.
Un po’ eh, mica il sonnone della grossa.
Ogni tanto, in concomitanza di qualche buca (che mica sono finite), mi sveglio, annuso l’aria e mi riaddormento.
Apro gli occhi mentre il pullman, in mezzo al buio più pesto del buio pesto, mi pare sia inclinato quasi in modo irreparabile sul lato destro mentre sta affrontando un pezzo di sterrato.
Penso all’autista. Ma starà veramente guidando da tutte queste ore?
Si. La risposta ce l’ho poco dopo quando ci fermiamo ad un distributore. È da poco passata la mezzanotte e ci fermiamo sotto questa tettoia dove c’è un’unica pompa di benzina.
Il posto è ovviamente chiuso e la pompa è altrettanto chiusa da un grosso lucchetto.
Nel piazzale c’è una casa: porta chiusa, finestre chiuse.
Scendiamo tutti, seguendo i nepalesi che già erano giù.
L’autista nel frattempo si è sdraiato su un tavolo per dormire.
Una delle nostre guide inizia a bussare alla porta della casetta. Bussa e parla, evidentemente a colui che, suppongo, si trovi all’interno.
Altri due tizi si aggregano ed iniziano pure loro a bussare.
Da dentro non risponde anima viva. Con tutto quel bussamento, penso, se c’è qualcuno dentro o è morto o è stronzo: di sicuro non può avere un sonno così forte.
L’autista appisolato sul tavolo nel frattempo non dà segni di vita: forse non si è solo addormentato.
Dopo almeno 20 minuti di bussamento sempre più ignorante, da dentro si ode una voce.
Forse allora è solo uno stronzo!
Si lo è. Parlano, incomprensibilmente alle mie orecchie, e vedo che Ash, la nostra guida, ad un certo punto pare sconsolato.
L’autista intanto credo che abbia 15 battiti al minuto.
“Che succede?”
“Dice che a quest’ora è chiuso e che riapre alle 5. Se vogliamo fare benzina o aspettiamo o andiamo al prossimo”
L’autista credo sia d’accordo per la soluzione A.
“E dov’è il prossimo?”
“Non lo so. Forse ad un paio d’ore da qui”
Un paio d’ore. Chissà perché mi viene da pensare che faremo benzina quando inizierà ad albeggiare.
Passa un altro quarto d’ora e succede il miracolo: pur senza l’utilizzo di nessun defibrillatore, l’autista riprende vita e torniamo tutti su. Si riparte.
Per non so quale motivo riesco a riaddormentarmi. Quando inizia a spuntare il sole si alza la temperatura e mi sveglio per il caldo. Mi tolgo la felpa e, tempo di annusarmi le ascelle, mi rianestetizzo.
Sono le 6,30 e siamo in viaggio da più di 9 ore. Ci fermiamo per una sorta di colazione.
Siamo stravolti ma ridiamo: abbiamo le facce che sembrano un Picasso e parliamo come Pingu.
Ci portano del tè e da mangiare, colpo di gran classe, ceci al curry!
La situazione è talmente paradossale che i ceci al curry, piccanti che Grisù dove sei?, sono perfetti.
A sto giro l’autista si limita a sciacquarsi la faccia, ma non ha mica una bella cera.
Ripartiamo: le famose 7 ore da Kathmandu ribadiscono il concetto di “circa” che hanno in Nepal e, se devo essere sincero, inizio ad apprezzarlo.
Sono adorabili da quanto non gliene freghi una gran ceppa di minchia!
Per arrivare arrivano, ma non stargli addosso!
Che belli che sono!
Fatto sta che oramai siamo svegli. Più o meno.
Ogni tanto mi si chiude un occhio e mi ribalto a bocca aperta sul sedile mentre lo Sherpa accanto a me dorme con la testa sulla mia spalla: che teneroni!
Arriviamo a Bhaktapur e, colpo di scena, ci fermiamo a Bhaktapur.
Ormai vale tutto.
“Ma scusate: non dovevamo andare a Kathmandu?”
“Si ma vi abbiamo preso l’hotel in cui già sareste dovuti andare domani e quindi vi lasciamo già lì”
Che, per dire, molto meglio. Uno sbattimento in meno. Ma, soprattutto, finalmente una gioia!
Entriamo in hotel che sono le 10 del mattino. Abbiamo fatto un viaggio di 13 ore. Si sono mescolate le ossa: al posto del femore ora o l’omero. I reni si sono scambiati coi polmoni e mi è cresciuto il terzo testicolo.
Rivaluto Trenitalia.
Ora dobbiamo riprogrammare gli ultimi 2 giorni che ci restano.
Ma lo facciamo dopo.
Prima una doccia. Che era anche ora.